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Amedeo Fiorese (da "Quaderni di scultura" Giorgio Segato, 1978)

 

La scultura di Amedeo Fiorese ha origine e compimento nell’ambito di una componente tecnica di netta fisionomia artigianale e inequivocabilmente legata alla secolare esperienza plastica e decorativa dei ceramisti bassanesi. Non per questo, tuttavia, si può parlare di scultura “ingenua” o banalmente ripetitiva di motivi qua e là superficialmente orecchiati – come è spesso di tanto vuoto modernismo a tutti i costi di bottega – nè si può assegnare al suo lavoro la valenza troppo riduttiva di ricerca e invenzione di motivi plastici di elementare leggibilità e meramente decorativi. Il suo “fare scultura”, si può dire, nasce direttamente dal lungo tirocinio artigianale del “fare ceramica”, ne resta fortemente condizionato e positivamente “contaminato” anche quando varia il “medium” espressivo, il materiale, ma il risultato del processo produttivo – specialmente nelle opere più recenti – appartiene con pieno diritto alla scultura. D’altra parte, il carattere schietto e immediato di Fiorese mal sopporterebbe una troppo netta dicotomia tra l’essere “artigiano” che ripete forme di un gusto ormai consolidato e l’aspirazione artistica che lo spinge a indagare e a sperimentare i problemi della forma, della luce, dei rapporti del volume e dello spazio, del volume come massa fisica e del volume come spazio vuoto. Fiorese sente l’uno e l’altro e con caparbia tenacia fa prosperare la sua “bottega” di autentico artigiano della ceramica e, insieme, persegue una sempre più attenta e severa ricerca di aggiornamento nel contesto della plastica contemporanea. Come a pochi riesce, egli ha saputo crearsi un ideale equilibrio tra il lavoro di “routine” e l’indagine personale, tra il ripetersi delle forme usuali e scontate negli esercizi di decorazione e l’esigenza incontenibile di una più efficace “educazione” delle proprie energie creative verso una soddisfacente espressione della ricca e versatile vena d’artista. Alla sua formazione, dopo gli Istituti d’Arte di Nove e di Venezia, hanno contribuito non poco il contatto nelle fonderie veronesi con alcuni dei maggiori artisti contemporanei, la conoscenza diretta del loro modo di operare artisticamente e gli ormai abituali incontri faentini con i maestri internazionali della ceramica. Il costante rapporto con i giovani in bottega e principalmente nell’esperienza di insegnamento ha, certo, accentuato la sua curiosità e disponibilità alla sperimentazione di forme e tecniche, ma non c’è dubbio che Fiorese abbia ricavato i maggiori stimoli – e i più significativi riconoscimenti e le più intime soddisfazioni dalla frequentazione del concorso di Faenza, qualificatissimo e qualificante banco di prova per chiunque aspiri non tanto a livelli di “artigianale artistico” quanto a riaffermare la dignità di autentica e compiuta espressione artistica della ricerca plastica connessa alla lavorazione della ceramica. Lentamente ma in continua progressione – anche se non sempre le scelte sono state coerenti – Fiorese ha saputo raggiungere in questi ultimi anni proprio quei risultati in cui l’indiscutibile bravura tecnica del ceramista si media alla capacità di tradurre il fatto ceramico in autentico fatto plastico, in scultura viva e autonoma. La strada è stata tormentata da incertezze, da esitazioni, da abbandoni e da falsi raggiungimenti, ma Fiorese ha saputo non demordere: ha atteso, riprovato, studiato e sperimentato, analizzato e discusso, ripreso temi e motivi congeniali, adattandoli alle proprie esigenze e sviscerandone i significati plastici.

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