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Ho visitato le tre gallerie di Bassano del Grappa che ospitano in permanenza le sue opere, e ho potuto  rendermi  conto  di  come  il  suo  lavoro  si sia snodato  lungo  binari  paralleli, dove, come  ho già detto, l’astrazione informale lo rappresenta come approdo estremo e sperimentale, con la stessa autorevolezza già mostrata nella sua produzione figurale – dove è evidente la forza di una lezione antica sapientemente maturata, e comunque necessaria come esperienza e assunto teorico alla base della sua creatività. Attraverso la forma informe Fiorese può esprimere fino in fondo l’emozione che in lui nasce e si sviluppa partendo in ogni caso da allusioni naturalistiche, e che si sterilizza in seguito nella sinteticità delle geometrie astratte, o nelle suggestioni plastiche e informali delle tecniche miste. Questi processi si potenziano spesso attraverso l’uso alchemico di cromie squillanti, che ne sottolineano l’energia interiore, e ne chiariscono le intenzioni narrative. Gli effetti sono struggenti, angoscianti, in quanto lo sguardo dell’osservatore è soverchiato da un universo complesso ed esasperato, pieno di anfratti segreti, di fratture tormentate, ma anche di geometrie aguzze e sterilizzate, e di effetti luminescenti. Lo sviluppo del suo lavoro è ormai giunto alla piena maturità espressiva grazie a un impianto segnico del tutto depurato da tentazioni accademiche, e contraddistinto da una drammaticità essenziale e antiromantica. A questo punto, in questo mio breve saggio, non voglio tenere conto della continuità cronologica del suo operare astratto, in quanto sarebbe doveroso seguire la marcia del tempo solo se si trattasse di tracciare le tappe di un percorso non ancora del tutto portato a termine, o di una ricerca in divenire. E non è certo questo il caso di Fiorese, che è oramai approdato a una visione definitiva di sé, come artista, e del mondo, come oggetto della sua riflessione. Preferisco piuttosto passare da una scultura all’altra per indagarne l’individualità, gli avvertimenti, i rimandi stilistici, lasciando che sia lo sguardo e il gusto a scegliere un percorso, forse non metodico, ma certamente guidato dall’attrazione e dall’interesse critico. Nel bronzo lucido e ossidato del 1988, intitolato Sole, emerge con chiarezza una riflessione sul Futurismo, che segna una nuova tappa sessant’anni dopo Umberto Mastroianni, che per primo ha raccolto l’ispirazione di Boccioni: in questo caso il sole esprime lo slancio creativo dell’uomo, celebrando una sorta di ottimistico neo-umanesimo. Ma per Fiorese il dinamismo non è tanto un concetto meccanico, quanto piuttosto la conseguenza visiva e costruttiva di un flusso emozionale. L’opera I segni della memoria del 1993 è una scultura importante in refrattario smaltato e rame con scorie di ossidi e oro, che impone una riflessione sul tempo e sullo spazio che appaiono conciliati nel ritmo dinamico della superficie. La logica formale di questo lavoro lascia libera la forma astratta di enunciare l’afflato poetico e drammatico che l’ha ispirata. Nel caso invece della scultura Metamorfosi in una sfera eseguita nel 1982, in grès, si avverte una calma respirazione, una affettuosa pazienza, persino una lieve trepidazione anche nei momenti più tesi della struttura plastica.

A una situazione come Composizione cosmica del 2003, struttura complessa dove convivono e si fondono visivamente la plastica, il ferro e la ceramica, va associata come contrappunto Genesi di un cubo del 2004: in ambedue viene in luce l’inquietudine creativa di un instancabile inventore di forme. Per altro, nel Viaggio cosmico n. 2 del 2005, in bronzo lucido e patinato, si nota come l’associazione fra gli aspetti linguistici e quelli tecnologici costituisca la base di un messaggio più profondo, avvertibile con nettezza nei motivi segnici in rilievo che ne occupano la superficie rettangolare.

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Paolo Levi