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Nel lavoro di Fiorese ritorna, infatti, sotto varie forme, la metafora tecnologica: così per il legno Volo del 1988, come per le due tecniche miste con cristallo e oro, del 1990, Metamorfosi e Messaggio. In questi casi, come nella Struttura vitale del 1993, in grès d’Olanda, l’astrattismo informale sfugge alle convenzioni allusive del figurale per comunicare un’urgenza emotiva. I riferimenti a una riflessione trascendente si ritrovano qui nei singoli frammenti, che appaiono dialetticamente correlati come parti di uno stesso discorso, ma intatti nella loro autonomia segnica e significante.

 

Come narrano le cronache, una tappa fondamentale della vita artistica di Fiorese è stata l’attività degli anni Settanta nella fonderia Bonvicini di Verona, dove ha avuto modo di confrontarsi e imparare nuove tecniche accanto alla presenza di grandi maestri della ricerca plastica quali de Chirico, Pomodoro e Manzù. L’eco di quella lezione è ancora ben presente nella luminosità della Struttura del 1993, in acciaio, ma anche nel rifiuto costante del tutto tondo, per portare in luce il mistero di universi sconosciuti attraverso lo scavo, l’anfratto, il corrugamento della materia. Per queste scelte estetiche spesso i suoi lavori sembrano reperti archeologici, sui quali il lavorio del tempo ha lasciato ferite e fratture.

Non è più tornato sui suoi passi da quando, nel 1975, ha composto in bronzo lucido Sensazioni musicali. Da quel momento, l’idea preponderante è stata quella di esprimere il ritmo drammatico della vita di oggi con elementi plastici agiti formalmente con chiarezza critica, evidenziando il coinvolgimento dell’uomo negli ingranaggi sociali.

In Evoluzione del 1976, in semigrès, maiolica, rame e oro, e giocato su una geometrizzazione nello spazio che ricorda vagamente le immagini astratte degli anni Cinquanta – pensiamo alla lezione di Consagra – è ben chiara l’idea di forzare emotivamente i termini programmatici dell’astrattismo. In Legami del 2001, in semigrès, così come più tardi in Genesi di un cubo del 2004, in materiale plastico variegato, si avverte più che mai la volontà di approdare comunque a un’arte oggettiva e pulsionale al tempo stesso, quindi capace di sfuggire alle tentazioni intimistiche. Così, anche in Fontana del 2003, in marmo rosa del Portogallo, dove l’irruzione dei sentimenti è pur viva e solare, la durezza del materiale sembra mettere un argine agli eccessi emotivi.

 

Nelle sue più recenti produzioni Fiorese, pur non rinunciando alla tridimensionalità, è approdato a un’espressività plastica volutamente contraddittoria, in quanto sottoposta a una lettura rigorosamente frontale e quindi univoca, rinunciando alle suggestioni dinamiche e spaziali, e valorizzando al massimo i valori segnici e cromatici. Siamo quindi arrivati al segno-simbolo attraverso la stilizzazione, a una scrittura mentale, a una sorta di stenografia esoterica elegante, rigorosa, e antidecorativa.

Fiorese si muove oggi su un piano più che mai concettuale, passando da una scultura all’altra sul classico filo del rasoio, procedendo per sottrazione, ponendosi all’estremo di una purezza iconica, e al limite della dissolvenza in uno spazio vuoto e privo di risonanze. Una scultura difficile certamente, ma non ermetica, fortemente problematica ma, in definitiva, felice, in quanto visivamente risolta e netta come un epigramma classico.

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Paolo Levi