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LA COMPLESSITA’ DELLA MATERIA E DEL MONDO

(dal "Catalogo generale delle opere di Amedeo Fiorese" - Paolo Levi, 2007)
 

La sostanza del discorso su Amedeo Fiorese non so indicarla meglio se non parlando di astrattismo magico. È raro infatti trovare oggi un artista che, come lui, sappia darci l’emozione dell’inconoscibile, il gusto di una presenza-assenza sferzante. Ciò che va sottolineato è il linguaggio che egli ha elaborato in questi anni con coerenza, approfondendo da un lato i problemi del vero e del riconoscibile, e dall’altro quelli dell’astrazione, forzando dall’interno i termini tradizionali della scultura, ma senza rinnegarne la lezione teorica, tendendo piuttosto a suturare la frattura fra formale e informale sotto la spinta di un rinnovamento estetico non fittizio e profondamente meditato. Di tutti questi problemi vibra la sua scultura, con tutti i rischi e le contraddizioni che comporta la scelta difficile di stare fuori dal coro, e di non aggregarsi a mode correnti. Ma anche con tutta l’efficacia dell’originalità assoluta. Il problema per Fiorese è infatti quello di non fare una scultura generica, una scultura di sentimenti approssimati, o vagamente allusivi, ma di creare delle crudezze formali esacerbate e sovente inquietanti.

Nato nel 1939, la sua biografia è la storia di una vocazione precoce e di una carriera ricca di riconoscimenti. Ha solo 17 anni quando vince il Concorso del Vaso Triveneto ed è subito contattato dal direttore della commissione Giorgio Wenter Marini che vuole saggiarne le potenzialità. Sostenuto da una borsa di studio procuratagli dallo stesso Marini porta a termine con successo gli studi artistici presso l’Istituto Statale d’Arte di Venezia. Nel 1963, ottenuta l’abilitazione a Padova, diventa docente di disegno nelle scuole superiori. Nel frattempo la sua attività non si interrompe, culminando nella partecipazione alle Biennali di Venezia del 1958 del 1960 e del 1962, in diverse esposizioni personali, e nella medaglia d’oro al Concorso Internazionale di Faenza del 1976, grazie alla quale le sue opere vengono esposte in Giappone. Nel 1983 lascia la cattedra per dedicarsi a tempo pieno alla scultura. Da quel momento la sua biografia coincide con le tappe evolutive delle sua creatività.

Amedeo Fiorese appartiene a quel genere, ormai raro, di maestro di bottega. Le sue opere sono le sue creature e quando le mostra ai visitatori chiede pareri e conferme, ma soprattutto una condivisione consapevole della fatica amorosa che ha dedicato alle forme, alle luci e ai colori delle sue opere. Nella storia della sua ricerca prevale oggi, come scelta preminente, l’astrazione, dove egli è soprattutto uno sperimentatore di materiali; la ceramica, il grès, la porcellana, il bronzo, l’oro, le resine, la pittura, il marmo corrispondono tutti alla sua anima d’alchimista, che è il luogo interiore e magico nel quale ha inizio l’elaborazione delle sue sculture, ognuna delle quali esprime significati strettamente connessi alla sua essenza tattile e visiva. Se da una parte l’artista sperimenta attraverso il materiale, dall’altra egli ricerca con passione la forma. Non troviamo nella sua vasta produzione informale modelli estetici standardizzati, poiché è assai bene applicata un’originale tecnica compositiva che rende espressivo, irripetibile ed estremamente teso il risultato finale. Da questo punto di vista sono precipue e significative le sue sculture realizzate in grès, dove un particolarissimo procedimento di impasto con ossidi di ferro crea venature e stratificazioni irregolari che esaltano, per contrappunto cromatico, la predisposizione geometrica che sta alla base dell’invenzione strutturale.

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