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Amedeo Fiorese ha sviluppato una sua espressività personalissima, particolarmente sensibile alla forma, alle  dimensioni, alla materia, alla linea e ai valori cromatici. Una  univoca  posizione, articolata  in  un  razionalismo formale, che rivela una sua particolare sensibilità percettiva. Vengono così definiti attraverso le forme e sui supporti materici, grafici e pittorici, matrici testualmente precise, modellate sulla materia, con l’uso di strumenti meccanici, attraverso l’azione plasmatrice, o con sofisticate tecniche di fusione e di assemblaggio ed anche con la stesura di colori, accesi e uniti, ai margini dei quali giocano, una sensibilità profonda, non alterata dalla azione meccanica e da gesti complementari od opposti, contro spazi che permettono il gioco del segno netto, preciso, quasi un passaggio improvviso di raggi luminosi che colpiscono la materia e che vengono rappresentati su piani diversi. “La poesia è necessaria – scriveva Karl Rehner – in tempi nei quali l’umano e il poetico sembrano deperire, sepolti sotto le opere dell’ingegno tecnico e soffocati dalle chiacchiere delle masse”. Una eccezionale abilità manuale, lo contraddistingue, sospinta dall’inesauribile desiderio di operare, di dar forma a pensieri e sensazioni.

Innanzitutto Amedeo Fiorese sembra voler mettere in luce, il movimento, le memorie-documentarie, le folgorazioni luminose: “chi osserva le sue opere scopre da sé la direzione del suo lavoro e i processi attraverso i quali perviene a una ininterrotta indagine di approfondimento e di interiorizzazione di ogni forma”. Nella sua scultura, e anche nel suo segno è un frangersi e ricomporsi della memoria dispersa, che è capace di creare miracoli di forme naturali con il vuoto rimbombante di un’anatomica forma. È proprio un cercare quello che caratterizza un momento della figura umana; non l’uomo: la trasparenza della forma, gli spazi lasciati dal gioco del pieno e del vuoto, gli effetti dell’interpretazione, la materia, il colore della luce. Alle volte la sua scultura vuole mostrare lo spegnersi della luce-vita negli estremi bagliori dell’esistenza, raggiungendo anche l’altro, il diverso, l’informe. Riesce così, prima di tutto, a cogliere il fenomeno misterioso di un momento. Guardando le sue opere, non si riesce a scorrere le pagine di un diario segreto. Qui la materia e la forma hanno la loro predominanza, come il segno lasciato dall’inchiostro nello scrivere le parole sulla carta; così si scatena il suo modellare sulla materia. Fiorese lascia dei segni. Una chiave magica. Quali richiami? I rimandi sono presto visibili: sono i grandi maestri. La sua è proprio una “poetica” artistica. La sua arte conosce l’angoscia e la sperimentazione, l’odio e la bontà, l’ironia e la legge; conosce l’arroganza e l’umiltà, la malinconia e l’allegria. Fiorese è sempre stato pronto ad ogni avventura. Sembra quasi di leggere nella sua interiorità quel senso di conforto che lo penetra e che è in grado di infondergli sicurezza. Possiede la materia che diventa un tutt’uno con la creazione. L’artisticità di un’opera d’arte è la conseguenza di un atto di giudizio, è una scelta. L’artista non è un valore intrinseco all’opera. L’arte è un pensiero. Anche il giudizio è un atto d’amore. La scultura deve essere guardata e riguardata, come è sempre necessario fare con le cose apparentemente semplici. Sotto l’apparenza, spesso, si nasconde un discorso molto profondo che può sfuggire all’occhio disattento.

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