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Amedeo Fiorese (da "Quaderni di scultura" Gino Barioli, 1978)

 

Vi è una specie di felicissimo istinto musicale che presiede alle ricerche visuali condotte con rara efficacia da Amedeo Fiorese, vi è una costante ed impegnata plasticità musicale den­tro alla quale si aggira, con esiti fortunati e validi, il «formare» di questo artista bassanese che nasce dalla ceramica delle Nove.

Ceramista, quindi, pittore, ma soprattutto scultore. Veneto, ma non dialettale; aperto alle dialettiche attuali, ma non disponibile alla retorica del nuovo. Con alle spalle un «curriculum» esemplare di studio e di lavo­ro: di lavoro e di contatti con grossissimi personaggi fon­damentali come i Pomodoro e Alberto Viani, frequentati sul lavoro, cioè in fonderia; di studio che lo lega agli apologhi fi­gurativi ed alle massime della scuola di plastica, appunto, in un momento interessante e ricco di novità (che fu quello intor­no all'aprirsi degli anni sessanta) dell'Istituto d'arte delle Nove ed agli insegnamenti della scuola d'arte dei Carmini di Vene­zia. Era allora, ed ancora oggi, per il Fiorese, è rimasta, questione di fondo quella di parlare soprattutto pulitamente e sinceramente, qualunque fosse la cosa che si dovesse dire. Bisognava, e bisogna, giungere alla liberazione da ogni equi­voco ed ambiguità, allontanare le remore del fatto artigianale, ma anche le fastidiose ed inutili complicazioni della cultura ufficializzata e canonizzata, ora più che nei tempi passati, da troppe, e non disinteressate voci: non perdersi nei riboboli, che, in provincia diventano vortici o, peggio, labirinti inutil­mente complicati e stanchi (spesso più di parole o, magari, di «istanze problematiche» che di opere) ed a questo parlare pu­lito e sincero restare univocamente fedeli. E' proprio su questo terreno che Amedeo Fiorese si è sempre mosso, pur sviluppando ricerche e sperimentazioni , di tempo in tempo, sempre più approfondite verso forme libere, pulite, essenziali.

Va da sé che, per Fiorese, veneto, il superamento del reale avviene con delicatezza, pudore e non senza nostalgie: è in questo senso che lo soccorre il canto pieno di quel «plasticismo musicale» al quale, dianzi, si fece riferimento e che lega ogni parte dei suoi lavori, in ceramica (e, pre­cisamente, maiolica) o in bronzo che siano, dentro un «con­tinuum» che non ha soluzioni o mancanze di respiro, che ten­de, mediante armoniose evoluzioni della sua ben calibrata geometria viva, ad attirare dentro di sé l'aspetto e, forse, l'essenza del vasto mondo che la circonda, magnificandone, per gioco sapiente di riflessi, l'aspetto ed umanizzandone la temperie.

Si può, volendo parlare dell'ultimo Fiorese, ricordare Pomo­doro, o Viani, o Burri: è senz'altro doveroso. Ma è altrettanto doveroso, utile e serio segnalare che Fiorese, vivendo nel tempo e nel clima di questi grandi, ha modi suoi, ha una visione serena e limpida, vibrante e delicata dei problemi della nuova visualità, una visione che è tutta sua, come è tutto suo il modo di risolvere questi problemi, che pur esistono, mediante un linguaggio non sempre facile, ma sempre estre­mamente vincolato da una armoniosa e tenace coerenza.

 

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